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Medita-errando Capitolo 2: questo furore spandilo per tutta la casa


“Questo furore, spandilo per tutta la casa, questo furore. Così, così ne siano travolti e, nell'odio, l'uno dell'altro abbia sete di sangue”

Lucio Anneo Seneca, Tieste,

I Sec. a.C.

La riforma del Regolamento di Dublino (Regolamento N. 604/2013, per la precisione) è diventata una prerogativa universalmente condivisa nello scenario politico italiano. Non v’è partito che non abbia inserito nel proprio programma alle passate elezioni una proposta a tal riguardo – seppur con attitudini, e, con ogni probabilità, moventi, differenti.

Ma che cos’è il Regolamento di Dublino?

COSA PREVEDE IL REGOLAMENTO DI DUBLINO Molto in breve, la Convenzione di Dublino – questo il nome del primo accordo, firmato nel 1990, appunto, a Dublino – regola, all’interno dell’Unione Europea, la gestione delle domande di asilo da parte di cittadini di paesi terzi, ovvero non facenti parte dell’Unione. Nello specifico, vengono stabiliti alcuni criteri per determinare, caso per caso, quale stato membro debba ricevere la domanda di asilo e, eventualmente, accoglierla.

Dal 2014, è in vigore la terza versione della Convenzione, ovvero il Regolamento di Dublino III. Quest’ultimo, come del resto le precedenti stesure, prevede che a recepire la richiesta di protezione internazionale sia lo stato membro di primo arrivo del soggetto, indipendentemente dal fatto che l’accesso sia avvenuto in modo regolare, Articolo 14 e 15, o irregolare, Articolo 13. Questo è il punto messo – ormai notoriamente – in discussione da sostanzialmente tutti i partiti italiani – e non solo – e che dovrebbe, dunque, essere “superato”, qualunque cosa ciò possa significare.

Tuttavia, questo non è l’unico criterio stabilito da Dublino III, benché dal dibattito politico possa apparire il contrario. Più precisamente, vi sono contenute misure speciali per quanto concerne l’arrivo di minori non accompagnati e il ricongiungimento famigliare. MINORI NON ACCOMPAGNATI E FAMIGLIE L’Articolo 8, Paragrafo 1, recita: “Se il richiedente è un minore non accompagnato, è competente lo Stato membro nel quale si trova legalmente un familiare o un fratello del minore non accompagnato”. In altre parole, se un 17enne, con un familiare regolarmente residente, per esempio, a Parigi, sbarcasse in Sicilia, ad accogliere la domanda di asilo sarebbe la Francia e non l’Italia.

Similarmente, se un familiare del richiedente è regolarmente residente in uno Stato membro – Articolo 9 – oppure ha già presentato richiesta di asilo presso uno Stato membro – Articolo 10 – anche il richiedente, suo parente, ha la possibilità di presentare la sua domanda nel medesimo Stato membro, se entrambi lo desiderano.

NON SOLO BARCONI E’ importante sottolineare come, dissimilmente da quanto possa trasparire dal dibattito comune, il Regolamento di Dublino si applichi ad una casistica ben più ampia dei soli arrivi irregolari da mare. Infatti, tralasciando i sopracitati esempi riguardanti i minori non accompagnati e le situazioni di ricongiungimento familiare, ricadono sotto Dublino III non solo tutti gli ingressi irregolari via terra, ma anche i casi di domande di asilo presentate sul territorio di uno Stato membro al termine di un regolare soggiorno con visto o presentate in una zona internazionale aeroportuale a seguito di un regolare arrivo in aereo.

Tutto ciò getta un’ombra di sospetto non tanto sull’effettiva necessità di un’”istituzionalizzazione” della solidarietà tra stati all’interno dell’Unione, quanto più sul movente che, almeno sul fronte italiano, spinge a perseguire tale riforma, ovvero la confidente presunzione che lo Stivale abbia compiuto, in questi anni, uno sforzo maggiore – ed incorrisposto – rispetto agli altri Stati membri. E questo pregiudizio non può che sostenersi sulla miope visione della rotta migratoria del Mediterraneo Centrale come principale – se non unico – accesso all’Europa per chi voglia tentare di trovarvi rifugio. Si dimentica troppo facilmente – o addirittura si ignora – come fino a poco tempo fa esistesse una “Rotta Balcanica” via terra e che, come già detto, una richiesta di asilo possa pervenire ad uno stato tramite canali non necessariamente irregolari. Arriviamo così alle domande chiave di questo secondo capitolo di Medita_errando: Ma sarà proprio vero che “arrivano tutti da noi”? E, di conseguenza, sarà proprio vero che l’Italia è stata lasciata sola dagli altri Membri dell’Unione, egoisti e solidali solo a parole?

GLI ARRIVI IN EUROPA

Andando per ordine, è necessario da subito indagare attorno alla veridicità dell’argomento che vorrebbe l’Italia principale approdo europeo per i richiedenti asilo.

A tal scopo, Eurostat (l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea) si rivela una risorsa efficace e relativamente fruibile. L’istituto raccoglie e divulga dati annuali sul numero di richieste di asilo ricevute da ogni Stato membro dal 2007 al 2017.

Tale dato è fondamentale per questa breve analisi, in quanto, come già descritto nei primi paragrafi, per presentare richiesta in un determinato Stato membro è necessario dapprima esservi – più o meno regolarmente – giunti. L’unica eccezione è costituita dai casi di ricongiungimenti familiari e di minori non accompagnati, nei quali l’equazione “stato di arrivo = stato competente per il ricevimento della domanda” non è necessariamente rispettata, seppur per un intervallo di tempo ragionevolmente limitato, dovendosi il richiedente spostare, a seguito della presentazione della domanda, nello stato responsabile dell’esame della richiesta.

Per questi motivi, è ragionevole dedurre che il dato Eurostat sul numero di richieste ricevute da un Paese membro rappresenti un indice sufficientemente accurato del numero effettivo di arrivi nel dato Paese.

Al fine di delineare dunque l’esposizione dei vari Membri UE al fenomeno migratorio è sufficiente computare il numero medio annuo di richieste di asilo ricevute nel periodo 2011-2017, ovvero l’intera durata della “crisi migratoria”.

PERCHÉ LA MEDIA?

Perché il fenomeno ha seguito un andamento tutt’altro che regolare. Ad esempio nel 2015 si è registrato un picco notevole di arrivi, a cui sono stati esposti, in modo asimmetrico, i diversi paesi europei. Di conseguenza, prendere a campione solo un anno potrebbe sovrastimare o sottostimare l’esposizione al fenomeno di un determinato paese. Di contro, utilizzare la media rispetto all’intero periodo di interesse permette di eliminare fattori contingenti e delineare più chiaramente la magnitudo degli arrivi nei vari Stati membri.

Il grafico a torta rende visivamente la percentuale media sul totale delle richieste presentate annualmente nei vari Membri dell’Unione rispetto al periodo 2011-2017.

ELEMENTI DA NOTARE:

  • L’Italia è ben lontana da essere il principale recipiente di richieste di asilo e, di conseguenza, di migranti;

  • Una domanda su tre viene inoltrata in Germania, di gran lunga il paese europeo più richiesto;

  • La Francia, ultimamente diventata il feticcio dell’”egoismo europeo”, riceve più domande dell’Italia. Un 3% in più in media all’anno per la precisione.

È possibile quindi rispondere al primo quesito: no, non arrivano tutti in Italia. Infatti, durante la “crisi migratoria” (2011-2017), in media in un anno, solamente 1 migrante su 10 è approdato nel Belpaese; 3 su 10 in Germania; 1 su 6 in Francia. L’idea, ormai largamente diffusa e condivisa, anche trasversalmente rispetto agli schieramenti politici, dello Stivale come principale ed isolato punto di approdo per i migranti dovrebbe essere, dunque, se non rigettata, almeno riconsiderata in una prospettiva più ampia.

QUESTO NON BASTA

Se ci si accontentasse dell’estremamente breve e semplice analisi presentata finora, si potrebbe cadere preda di un grave errore: presupporre che tutti i Paesi UE siano ragionevolmente simili, un’affermazione estremamente lontana da quella che è la realtà.

Il Vecchio Continente appare infatti piuttosto variegato sotto pressoché ogni aspetto: geografico, linguistico, etnico, climatico, culturale, e, soprattutto, demografico.

Per usare una metafora, finora abbiamo fatto gareggiare stalloni, puledri e pony tutti assieme. Il campionario dei Membri UE spazia, per l’appunto, dalla Repubblica Federale di Germania, una potenza economica di 82 milioni di abitanti, alla Repubblica di Malta, uno stato insulare con una popolazione pari alla metà di quella di Genova.

Al fine di delineare più fedelmente quello che è lo sforzo sostenuto dai vari paesi occorre dunque tener conto della variabile demografica, soppesando per le differenti popolazioni. In altre parole, il numero medio di richieste ricevute annualmente da ogni Stato membro verrà messo a rapporto con la sua popolazione censita al 2016. Quello che si ottiene è il numero di richieste ricevute in media all’anno come percentuale della popolazione totale del paese in esame. In questo modo, le disparità demografiche dei Membri UE vengono eliminate, delineando un metro di giudizio più equo per misurare l’esposizione al fenomeno migratorio dei vari paesi.

A riprova della fondatezza di tale sospetto, è facile notare come il nuovo grafico riporti una “classifica” alquanto diverso rispetto alla precedente. La Svezia svetta ora in prima posizione, ricevendo in media ogni anno un numero di richieste di asilo pari a circa lo 0,6% della sua popolazione totale. Sorprendentemente, sul secondo gradino del podio troviamo ora Malta, ultimamente bersaglio prediletto degli attacchi politici del nostro Ministro degli Interni. L’ammontare delle domande presentate annualmente nella piccola isola del Mediterraneo è infatti pari a più dello 0,4% della sua popolazione residente.

In modo ancora più curioso, si può osservare come ora l’Italia sia scivolata a metà classifica, seguita in modo molto simile dalla Francia. I due paesi ricevono infatti annualmente un numero di richieste di poco superiore allo 0,1% delle rispettive popolazioni. In breve, una volta controllato per le disparità demografiche, l’ultimo grande paese europeo a rimanere nella parte alta della classifica è la Germania, recipiente di un numero di domande annuo pari allo 0,3% della sua popolazione – si rammenti come i cittadini tedeschi ammontino a 82 milioni.

Tirando le somme, non solo l’Italia non è – nemmeno lontanamente – il paese più interessato dai flussi migratori in termini nominali, ma addirittura, una volta soppesato per le rispettive popolazioni, diviene il paese recipiente “medio” all’interno dell’UE (anzi, ad essere onesti, leggermente sotto la media). In altre parole, sensazionalismi a parte (sicuramente lo sbarco di qualche centinaia di profughi sulle coste italiane è mediaticamente più interessante, e dunque profittevole, di una domanda di asilo presentata in aeroporto a Francoforte), la situazione degli arrivi in Italia più che l’eclatante eccezione rappresenta l’assoluta normalità europea.

DA DOVE VENIAMO? CHI SIAMO? DOVE ANDIAMO?

Dopo aver discusso, sia in termini nominali che relativi alla popolazione, della magnitudo del fenomeno migratorio in Italia rispetto agli altri Paesi dell’Unione, è importante porre un ultimo ma cruciale interrogativo: dove stiamo andando?

L’Italia non sembra versare in una situazione così peculiare o delicata – e ok – ma questo nulla ci dice sul come i flussi si siano distribuiti sul territorio dell’Unione, se in modo equo, omogeneo o ingiustificatamente asimmetrico.

PARENTESI STATISTICA CHE SI PUÒ ANCHE SALTARE

Allo scopo di indagare sulla faccenda, è necessario introdurre i concetti di deviazione standard e coefficiente di variazione. La prima è, in parole povere, la distanza media tra le osservazioni e la media del campione; la seconda è il rapporto tra la deviazione standard e la media del campione.

Aiutandoci con un esempio, in un campione di 6 persone, alte rispettivamente 1,5; 1,6; 1,7; 1,8; 1,9 e 2 metri, l’altezza media è pari a 1,75 metri. La deviazione standard sarà ottenuta computando la media delle distanze fra le singole altezze (1,5; 1,6; 1,7 … metri) e la media (1,75 metri). In questo esempio la deviazione standard sarà dunque pari a 19 centimetri. Terra terra, possiamo dire che in questa società di 6 persone è “normale” passeggiare e incontrare qualcuno che sia 19 centimetri più alto o più basso di noi. Diversamente, il coefficiente di variazione esprime, in termini percentuali, la grandezza della deviazione standard rispetto alla media. Tornando all’esempio, possiamo dire che, sempre nell’affollato mondo esa-abitato di prima, è “normale” incappare in qualcuno che sia l’11% (0,19/1,75x100) più alto o più basso di noi. Ora, ipotizziamo di osservare sempre una popolazione di 6 individui. Questa volta però le altezze sono pari a 1,6; 1,65; 1,7; 1,8; 1,85 e 1,9 metri. Come nel caso precedente l’altezza media è pari a 1,75 metri. Se ci fermassimo qui, saremmo tentati di concludere che le due popolazioni siano piuttosto simili. Tuttavia, se si computa la deviazione standard e il coefficiente di variazione si può notare come ora siano più bassi e pari rispettivamente a 12 centimetri e al 7%. Cosa vuol dire ciò? Che sebbene la media sia la stessa in entrambi i campioni, gli individui del secondo caso sono più omogenei, meno dissimili tra loro, più concentrati attorno alla media. Se infatti nel primo caso era “normale” incontrare qualcuno 19 cm – ovvero l’11% della propria statura – più alto o basso di noi, ciò risulterebbe alquanto bizzarro nel secondo campione, dove “la norma” è essere solo 12 cm – ovvero il 7% – più alti o bassi degli altri individui.

Tutta questa digressione per chiarificare quello che è un concetto chiave per la nostra analisi, in quanto ci permette di avere un’idea più precisa di quanto i Paesi UE differiscano rispetto al numero di domande di asilo che ricevono e di quanto questa differenza sia grande rispetto al numero medio di domande ricevute. In altre parole, potremo osservare come – se secondo una tendenza all’omogeneità o all’eterogeneità – gli arrivi di migranti abbiano interessato i diversi Stati membri attraverso il periodo 2011-2017.

CHIUSA PARENTESI: TORNIAMO A NOI

Al fine di determinare se gli arrivi abbiano interessato, nel corso del periodo 2011-2017, in modo più o meno omogeneo gli Stati europei, applicheremo il concetto di coefficiente di variazione al dato sul numero di domande ricevute come percentuale della popolazione totale. Il risultato è reso graficamente nella figura qui sotto.

Come si può notare, l’eterogeneità negli arrivi tra i vari Membri segue una tendenza complessivamente decrescente: si passa infatti da un coefficiente di variazione superiore al 130% della media europea nel 2011, a quello pari circa al 110% del 2017. In altre parole, le differenze rispetto al numero di arrivi si sono nel tempo appiattite: se nel 2011 la differenza media tra gli arrivi in un dato paese e la media europea era pari al 130% della media stessa, nel 2017 la stessa differenza ammontava al 110%, una riduzione del 20%.

In netta controtendenza, si può notare un picco piuttosto definito che interessa il 2015. In quell’anno il coefficiente ha infatti raggiunto il 150%. Era, in altre parole, “la norma” che un paese ricevesse una volta e mezza – in più o in meno – il numero di migranti arrivati nel “paese medio”, in rapporto alle rispettive popolazioni. Una differenza consistente insomma.

Tale asimmetria può essere spiegata facendo riferimento alla nuova figura qui sopra: infatti, nel 2015 si è osservato anche un netto incremento degli arrivi totali in Europa. Ragionevolmente, tale shock ha interessato in modo eterogeneo i vari Paesi UE, soprattutto quelli che si trovavano sulla “Rotta Balcanica”. Tuttavia, si noti come, benché l’alto numero di arrivi sia perdurato anche nel 2016, nello stesso anno il coefficiente di variazione sia decresciuto fino a circa il 115%, una riduzione del 35%. Questo ci dice che, diversamente dalla retorica comune, i Paesi europei si sono adattati alla situazione piuttosto rapidamente, canalizzando i nuovi arrivi in modo più omogeneo sul territorio dell’Unione. In altre parole, arrivano oggi in Europa circa 400 mila migranti in più che nel 2011, ma tali arrivi interessano in modo considerevolmente più omogeneo i vari Paesi UE.

TIRIAMO LE SOMME

In questo episodio abbiamo fornito tre risposte a tre differenti domande recentemente entrate a far parte del dibattito comune sulla questione migratoria:

  • No, non arrivano tutti in Italia, anzi, la nostra percezione del fenomeno è probabilmente alquanto distorta dal sensazionalismo creatosi attorno agli sbarchi, che rappresentano solo una piccola parte degli arrivi totali in Europa;

  • No, l’Europa non è un’accozzaglia di egoisti, la situazione italiana corrisponde esattamente alla media UE, una volta soppesato per le differenze demografiche;

  • Sì, l’Unione sta diventando più equa rispetto alla gestione degli arrivi.

Ciò non toglie che, seppur in tendenza decrescente, l’eterogeneità nel numero di richieste ricevute dai vari Paesi europei rimanga piuttosto alta (segnando un coefficiente di variazione pari a circa il 110% della media UE). Sicuramente parte di questa asimmetria è dovuta a peculiarità – geografiche, soprattutto – che una riforma politica non potrebbe efficacemente intaccare. Tuttavia, è altrettanto indubbio che parte delle disparità, seppur, come già detto, meno di quanto crediamo noi Italiani, siano dovute ad attitudini politiche divergenti nei governi dei vari paesi. In questa direzione dovrebbe muoversi una riforma, un “superamento”, del Regolamento di Dublino III.

Insomma, tanti dei nostri italici guai non derivano da un ipotetico disegno interessato ed egoista degli altri Membri UE, ma, piuttosto, dalle gravi inefficienze che minano il nostro sistema di accoglienza, lento, costoso ed inefficace. Ma di questo ne parliamo la settimana prossima.

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