Adroterapia: quando la fisica salva
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Accade spesso di sentire critiche nei confronti della ricerca scientifica, in particolare nei confronti di quegli esperimenti e ricerche che apparentemente non hanno alcuna applicazione nella vita quotidiana di tutti noi, che sembrerebbero limitarsi semplicemente a soddisfare la curiosità degli scienziati.
In questo articolo voglio raccontarvi di una situazione in cui ricerche “apparentemente inutili”, che spesso sono state definite come uno spreco di denaro, hanno permesso di sviluppare una tecnologia del tutto nuova e più che utile alla comunità. Mi sto riferendo all’adroterapia, una terapia basata su principi di fisica delle particelle e utilizzata per curare particolari tipi di tumori presso il CNAO di Pavia, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica.
Come sempre, procediamo per gradi: cerchiamo di capire più in dettaglio cosa sia l’adroterapia.
Il nome adroterapia deriva dalla parola adroni, che è il termine con cui vengono generalmente definite le particelle composte da quark. Si tratta di un innovativo tipo di radioterapia oncologica che sfrutta fasci di particelle e ioni carichi (ovvero nuclei di atomi) anziché i più tradizionali fotoni.
Ma perché può essere utile ricorrere a questa terapia?
In primo luogo, a differenza di altre, l’adroterapia è indicata per trattare tumori primari posizionati in zone molto delicate e sensibili alle radiazioni, come gli occhi, il tronco cerebrale e l’intestino. Questo perché i fasci utilizzati per colpire i tumori sono composti da particelle che perdono la loro energia secondo quello che prende il nome di picco di Bragg. Secondo questo principio, quando queste particelle attraversano un materiale perdono pochissima energia finché non raggiungono una certa profondità caratteristica: a quel punto perdono istantaneamente tutta l’energia rimasta, come con una scarica limitata in una zona definita dello spazio, e in quel punto si fermano. Questa profondità caratteristica si può conoscere con precisione: dipende dal tipo di particella utilizzata, dalla sua velocità iniziale e dal tipo di materiale attraversato. Tornando al trattamento dei tumori, quindi, è possibile fare in modo che tutta l’energia dei fasci utilizzati per trattare il paziente venga rilasciata in corrispondenza della profondità a cui si trova il tumore. In questo modo nei tessuti circostanti viene rilasciata una quantità di energia molto piccola, quindi vengono danneggiati molto meno rispetto ai trattamenti con radioterapia tradizionale. Nella figura di seguito potete osservare l'andamento della perdita di energia in un mezzo per protoni e ioni carbonio confrontato con quello dei raggi X, che tendono a perdere la maggior parte della loro energia negli strati iniziali del materiale.
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Oltre a ciò, si ha che il potere distruttivo delle particelle nella regione del tumore è molto elevato poiché gli adroni danneggiano irreparabilmente il DNA della cellula tumorale colpita. In aggiunta, dato che praticamente tutta l’energia delle particelle viene rilasciata in un punto definito e le aree circostanti sono sottoposte a una quantità di radiazione minima, è possibile utilizzare dei fasci molto più potenti dei fotoni della radioterapia. Di conseguenza, questa terapia permette anche di trattare i tumori radio-resistenti, ovvero quelli che non riescono ad essere rimossi con la radiazione convenzionale.
Abbiamo parlato di fasci di particelle utilizzati per bersagliare i tumori. Come vengono ottenuti, però, questi fasci?
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Si ricorre a un macchinario che prende il nome di sincrotrone, del tutto simile all’anello acceleratore del CERN di Ginevra. Gli ioni carbonio e i protoni vengono inizialmente estratti da dispositivi detti sorgenti e compattati in pacchetti; dopodiché vengono preaccelerati e immessi nel sincrotrone, dove vengono ulteriormente accelerati fino a raggiungere la velocità adeguata per i trattamenti. A questo punto i fasci sono pronti per essere inviati alle sale di trattamento, dove vanno ad attaccare il tumore del paziente strato per strato.
Ora che sappiamo qualcosa di più di questa tecnica innovativa andiamo a conoscere meglio il luogo in cui viene utilizzata: il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia.
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In breve, l’idea di realizzare un centro in cui trattare tumori con adroni nasce già nel 1991; negli anni successivi si inizia con una raccolta di fondi da parte di diversi enti di ricerca e lo sviluppo dei primi progetti, fino ad ottenere la collaborazione del CERN, che si impegna a creare un sincrotrone per ioni carbonio e protoni ottimizzato per la terapia. Oltre al CERN sono coinvolti nella progettazione altri enti di ricerca internazionali, come INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), il tedesco GSI e LPSC (Laboratoire de Physique Subatomique et de Cosmologie). La Fondazione CNAO nasce ufficialmente nel 2001, nel 2005 iniziano i lavori di costruzione e nel 2010 viene finalmente inaugurato l’unico centro in Italia e uno dei tre in Europa che utilizza protoni e ioni carbonio per la cura tumorale. Finora il CNAO ha trattato circa un migliaio di pazienti con un’elevata percentuale di successi e dall’anno scorso i trattamenti sono stati inclusi all’interno dei livelli essenziali di assistenza previsti dal Sistema Sanitario Nazionale, diventando accessibili a tutti i cittadini.
Riassumendo, abbiamo parlato del picco di Bragg e di tecnologie come quella del sincrotrone, strumenti elaborati nell’ambito della ricerca della fisica delle particelle che però non si limitano a soddisfare la sete di sapere dei più curiosi, ma permettono di salvare delle vite. Davanti ad applicazioni tutt’altro che inutili o lontane dalla quotidianità risulta difficile continuare a sostenere che la ricerca e l’annesso sviluppo tecnologico possano essere un inutile spreco di denaro.