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"A Sanremo Carol": Festival di Sanremo, SERATA FINALE

Milano, 10 febbraio 2019, 01:45. L'ultima serata del Festival si è conclusa da pochi minuti. I fantasmi di Pippo Baudo, Claudio Baglioni e Fabio Rovazzi mi osservano timorosi da un angolo della stanza, in attesa. Non ho ancora scritto una parola, mi limito a fissare la pagina vuota sullo schermo del pc. Inspiro, poi lascio cadere un dito sulla tastiera, poi un altro e ancora un altro. Tiriamo le somme sulla finale della 69esima edizione del Festival di Sanremo.

Il Festival Come previsto, quest'anno il Festival della canzone italiana si è rivelato particolare e in alcuni casi sorprendente.

Mai sul palco dell'Ariston si era vista un'unione di generazioni, stili e generi musicali così diversi, in grado di rappresentare tutti – o quasi – i gusti dei telespettatori, indipendentemente dall'età e dalla condizione sociale e culturale. Ottime le coreografie e le luci e – come sempre – superba l'orchestra.

L'unica critica seria che si può avanzare a quest'edizione è una certa ipocrisia di fondo: la produzione ha assegnato il Premio alla Carriera a Pino Daniele durante gli ultimi cinque minuti della seconda puntata, dopo aver ignorato completamente il musicista napoletano nei quattro anni trascorsi dalla sua scomparsa, e ha troncato bruscamente il messaggio di Serena Rossi in onore di Mia Martini ("È davvero arrivato il momento di chiederle scusa per quello che le hanno fatto"). Forse ci sarebbe bisogno di un piccolo esame di coscienza.

Un grande elogio è invece dovuto al DopoFestival – condotto da Rocco Papaleo e poco seguito a causa della tarda ora di messa in onda –, che quest'anno si è rivelato valido e ben scritto e nel quale alcuni dei concorrenti del Festival hanno dato il meglio di sé, come nel caso del lungo freestyle improvvisato da Shade o della cover realizzata dai Negrita di Monnalisa di Ivan Graziani.

I conduttori I conduttori si sono rivelati all'altezza della situazione.

Claudio Baglioni, con il suo fare posato, ha portato a casa con classe per il secondo anno consecutivo le cinque serate più difficili del palinsesto italiano, non perdendo occasione di esibirsi da solo e in compagnia dei vari ospiti. Spesso si sono sentite frasi come "anche quest'anno il Festival è diventato il concerto privato di Baglioni", ma queste critiche e battute lasciano il tempo che trovano: dopo tanti presentatori di professione, nelle ultime due edizioni è stato messo al timone uno dei più celebri artisti italiani, in grado non solo di parlare, ma anche di cantare, suonare ed essere contemporaneamente conduttore e ospite. Quante trasmissioni nel mondo posso vantare una tale peculiarità? Virginia Raffaele è stata invece la prova che il tempo delle soubrette provocanti e inutili è ormai finito: presentatrice, cantante, imitatrice, attrice, comica e solo come ultima cosa anche bella, ci ha dimostrato incontestabilmente che le donne in televisione possono e devono essere più che semplici oggetti estetici. Non sarebbe male vedere Virginia come conduttrice principale del Festival, prima o poi.

Claudio Bisio, talvolta impacciato e oggetto di scherno, si è sobbarcato uno dei compiti più ardui di questo Sanremo, interpretandone da solo tutti i momenti politicamente impegnati, fortemente voluti da Baglioni e divisi invece l'anno scorso tra Pierfrancesco Favino, Fiorella Mannoia e molti altri.

Il caso Achille Lauro

Tra le tante canzoni più o meno belle in gara, solo una ha davvero fatto parlare di sé, dividendo il pubblico già molto prima del suo debutto: si tratta di Rolls Royce di Achille Lauro, giovane artista trap, primo esponente del genere ad essere ammesso alla manifestazione.

La sua performance ha sconvolto molti sia per l'aspetto discutibile e i modi scomposti del cantante sia per la musica caotica e irriverente, ma sarebbe sbagliato giudicare negativamente a priori questo brano e il suo autore.

La trap è al momento uno dei generi più diffusi e redditizi del panorama mondiale e, anche per la sua facilità di produzione, sono innumerabili i giovani rapper che si sono avvicinati a questo stile, portando velocemente il mercato alla saturazione. Forse nel tentativo di differenziarsi, molti di questi cantanti hanno deciso di rifarsi al mondo del rock, ma solo nella teoria: si sono autoincoronati rockstar, ma senza di fatto attingere in nessun modo a quel mondo (come nel caso di Sfera Ebbasta e del suo ultimo album). Achille Lauro compie invece una piccola svolta: senza abbandonare l'apparenza di un trapper, si presenta con un brano rock 'n' roll e non rappa, ma canta, portando con sé sul palco un chitarrista munito di una Gibson distorta. È la prima volta in Italia in cui vengono realmente mischiate queste due correnti così distanti.

I fan del rock sono subito insorti, senza accorgersi di criticare proprio ciò di cui normalmente invocano il ritorno: Lauro è un artista irriverente e vitale, più attento all'interpretazione che al timbro e alla qualità del canto, in apparente opposizione al mondo del pop commerciale e ai suoi artifici, come l'uso di Melodyne per assicurarsi un'intonazione perfetta.

Persino l'Auto-Tune – nato per correggere i difetti vocali e divenuto poi un sistema per creare particolari effetti di distorsione, usato e abusato costantemente nella trap – diviene in Rolls Royce un mero accessorio, sfruttato solo nel bridge della canzone, quasi appositamente per fare notare la sua assenza nel resto del brano. Esso sparisce poi del tutto durante il duetto della quarta serata con Morgan e in finale.

Un difetto può essere riscontrato nel fatto che le nuove generazioni, non riuscendo a creare nuovi modelli, non facciano che riprendere quelli del passato (il testo di Lauro, in cui non fa altro che paragonarsi a personaggi come Elvis e Marilyn Monroe, ne è un perfetto esempio), ma questo è un grande problema del nostro tempo, diffuso in ogni ambito (si pensi alle importanti case di produzione cinematografica impegnate in remake e reboot, piuttosto che in produzioni completamente nuove): non ci si può certo aspettare che sia il mondo del rap a risolverlo. Ad Achille Lauro bisogna dunque lasciare il beneficio del dubbio, così da vedere se questa Rolls Royce costituirà un caso unico presto dimenticato o se, invece, stiamo assistendo all'inizio di qualcosa di nuovo.

"Okay, parliamo della finale." Senza dire una parola, i Fantasmi del Sanremo Passato, Presente e Futuro mi si fanno più stretti intorno. Gli ospiti

Non importa di quale manifestazione si tratti: durante la finale il livello si abbassa sempre un po'.

Cercare di fare le cose in grande finisce spesso per renderle un po' pacchiane, provare a dare il tutto per tutto porta spesso i cantanti a gridare eccessivamente e anche la qualità degli ospiti tende misteriosamente a calare verso la fine. Il primo è Eros Ramazzotti, non certo malvagio, ma un po' l'ombra del cantante che era da giovane. Al suo fianco figura Luis Fonsi, che ci risparmia la sua Despacito, ma il cui nuovo singolo con Ramazzotti – Per le strade una canzone – potrebbe rischiare di tediarci per tutta la prossima estate. Al di fuori dei duetti, Fonsi è l'unico ospite internazionale di quest'anno: impossibile celare un po' di amarezza.

Vi è poi un filmato pre-registrato sul red carpet, in cui Lo Stato Sociale e Renato Pozzetto eseguono E la vita, la vita. Una scenetta simpatica, ma viene da chiedersi perché non sia stata realizzata sul palco in diretta. Infine abbiamo Elisa, le cui doti sono indiscusse, ma il cui repertorio è andato peggiorando negli ultimi anni. L'esibizione è comunque risollevata dal duetto con Baglioni sulle note di Vedrai vedrai di Luigi Tenco. In ogni caso, quest'anno vi sono stati molti ospiti notevoli ed era prevedibile che la finale si rivelasse un po' sottotono: non lamentiamoci. Ah, ma ho dimenticato il Mago Forest: sì, bello, bravo, ciao.

Andiamo al vincitore.

Il vincitore

Al momento dell'annuncio della classifica, il pubblico dell'Ariston si ribella: Loredana Bertè, che sera dopo sera ha collezionato una serie notevole di standing ovation, è arrivata quarta e gli spettatori proprio non ci stanno, la volevano sul podio. Fischi, urla e trambusto riempiono la sala e solo dopo alcuni minuti Claudio Bisio riesce a calmare le acque, ponendo fine a una scena vergognosa e ridicola. Le prime tre posizioni vanno a Ultimo, Il Volo e Mahmood e il televoto viene riaperto per l'ultima volta, così da decidere chi sarà il vincitore assoluto. Nel frattempo, vengono assegnati gli altri premi. Il Premio Sergio Endrigo alla migliore interpretazione e il Premio Giancarlo Bigazzi alla migliore composizione musicale vanno a Simone Cristicchi e il Premio Lunezia per il valore musical-letterario del brano viene assegnato a Enrico Nigiotti, ma è Daniele Silvestri a fare meritatamente il pieno di titoli con il Premio della Critica Mia Martini, quello della Sala Stampa Lucio Dalla e il Sergio Bardotti per il miglior testo. Infine, dopo una lunga attesa, viene annunciato il trionfo di Mahmood e della sua Soldi, la sorpresa più bella e inaspettata di questa edizione.

Da molti anni a Sanremo vige la stessa regola non scritta: se votano più i giovani, il vincitore sarà il tipo emergente belloccio, magari uscito da qualche talent show; se votano più gli anziani, sarà invece una vecchia gloria o il ragazzo con la musica nostalgica e il testo piacione ad avere la meglio. Questa volta, perciò, sembrava certo già dall'inizio che il primo premio sarebbe andato a Ultimo o a Il Volo. Quest'anno però la dicotomia è stata spezzata. Nel primo anno in cui era possibile vincere sia Sanremo Giovani sia il concorso principale, Mahmood è riuscito in questa incredibile impresa e lo ha fatto con un brano che fonde sonorità elettroniche e sinfoniche, hip hop e pop, e soprattutto che presenta un testo impegnato, forse incomprensibile per certi adulti, ma invece vicino a molte realtà difficili vissute dai giovani di questa generazione.

Non sono degne di nota le critiche di chi ha parlato di "vittoria politica" ed è invece semplicemente normale che una società che volge alla multiculturalità abbia votato un ragazzo che esprime il meglio di due culture e di due lingue diverse. Forse il prossimo anno, durante la 70esima edizione, si ritornerà a concorrenti e vincitori più consueti e per molti più rassicuranti, ma per ora possiamo goderci lo scossone all'abitudine dato oggi da Mahmood: forse è il segno che un cambiamento è possibile. "Ho finito.", annuncio con una nota di stanchezza nella voce. "Non è stato male questo viaggio, penso che lo chiamerò A Sanremo Carol: non capita tutti i giorni di essere accompagnati da degli spettri, una citazione a Dickens mi sembra d'obbligo."

Alzo lo sguardo e mi accorgo di essere solo nella stanza, di esserlo sempre stato: me lo aspettavo, ma confesso un po' di delusione. Faccio per mettere via il pc, ma improvvisamente un traslucido Fabio Rovazzi appare al mio fianco, un ghigno furbetto sul viso.

"Dovrai recensire Sanremo anche il prossimo anno." "Potremmo fare uno scambio." "Del tipo?" "Tu mi dici se e quando condurrai il Festival e io valuterò la possibilità di continuare a scrivere." Dopo un attimo di riflessione, il fantasma cede e accosta le labbra al mio orecchio, sussurrando.

Io lo guardo con occhi sbarrati.

"DAVVERO?"

All'anno prossimo! Forse.

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