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Acceleratori per l'arte: il nuovo progetto MACHINA


Tra i diversi articoli di questa rubrica scientifica abbiamo già avuto modo di parlare di acceleratori di particelle utilizzati in diversi contesti. Per rinfrescarvi la memoria, un acceleratore di particelle è una macchina in grado di accelerare, appunto, delle particelle microscopiche, da singoli elettroni o protoni fino a ioni pesanti (ovvero nuclei di atomi privati dei loro elettroni). Abbiamo già visto come questi gioielli tecnologici siano fondamentali nella ricerca di base in fisica delle particelle ma li abbiamo anche visti utilizzare come strumento medico in adroterapia per la cura dei tumori (vedi l’articolo “Adroterapia: quando la fisica salva”).

Pochi giorni fa il CERN ha pubblicato un articolo in cui parla di un nuovo acceleratore ideato per il progetto MACHINA, relativo ad un’applicazione ancora diversa, che è la conservazione dei beni culturali. La possibilità di sfruttare fasci di particelle in questo campo nasce dall’utilizzo degli acceleratori nella caratterizzazione dei materiali, in cui le particelle accelerate vengono utilizzate come sonde per studiare la struttura più interna della materia e capirne più profondamente le sue caratteristiche. Da qui è stato possibile sviluppare due famiglie di acceleratori per i beni culturali e l’archeologia: l’Accelerator Mass Spectroscopy (AMS), utilizzata per datare reperti archeologici, e l’Ion Beam Analysis, che invece serve a esaminare la composizione dei materiali di cui è costituita un’opera d’arte. In questo articolo mi concentrerò sulla seconda di queste tecnologie, a cui appartiene anche il nuovo MACHINA.


Quindi, cosa rende speciale l’Ion Beam Analysis?


La caratteristica fondamentale che rende possibile lo studio di antichi e preziosissimi capolavori sta nel fatto che l’IBA sfrutta fasci di ioni accelerati per rivelare la composizione di materiali inorganici senza alterarne le proprietà, danneggiarli o dover prelevare dei campioni dall’opera in studio. Un altro grande vantaggio di questa tecnica è dato poi dalla possibilità di effettuare qualsiasi misura senza la necessità del vuoto, che spesso rappresenta una conditio sine qua non per poter far funzionare una macchina acceleratrice. Tutto ciò rende l’Ion Beam Analysis lo strumento ideale per lo studio delle peculiarità di inchiostri, pigmenti, vetri, ceramiche, pietre preziose e leghe metalliche ed è una tecnica così potente da permettere di scoprire, ad esempio, l’origine dei colori sulla tavolozza di un pittore o i suoi ripensamenti nei vari strati di un dipinto. Proprio per questi motivi, particolari acceleratori chiamati Tandetron sono stati installati presso grandi musei e centri di restauro: per fare alcuni esempi, al Louvre di Parigi abbiamo AGLAE, Accélérateur Grand Louvre d’Analyses Elémentaires, mentre a Firenze è stato costruito un intero laboratorio attorno all’acceleratore, il LABEC (Laboratorio di tecniche Nucleari per i Beni Culturali).

Ma come si inserisce MACHINA in tutto questo?


I grandi apparati dei musei e dei centri di restauro hanno un difetto: non si possono spostare. È un problema che per la ricerca di base e gli acceleratori per la fisica medica, costruiti all’interno delle apposite cliniche, non si pone, ma in questo caso diventa rilevante: spesso fragilissimi capolavori devono percorrere centinaia di chilometri per un intervento di restauro o per poter essere oggetto di studi approfonditi e alle volte le opere da studiare non possono proprio essere spostate dal luogo in cui si trovano, come ad esempio accade per gli affreschi. È quindi da questa necessità che è nato il progetto MACHINA, che sta per Movable Accelerator for Cultural Heritage In-situ Non-destructive Analysis, nato dalla collaborazione tra il CERN, l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il progetto prevede quindi la costruzione di un mini acceleratore portatile che abbia tutte le carte in regola per poter essere utilizzato per l’Ion Beam Analysis grazie all’innovativa tecnologia PIXE-RFQ sviluppata dal CERN.

La tecnica PIXE, acronimo per Particle Induced X-ray Emission, è una delle versioni più potenti dell’Ion Beam Analysis. Si basa sull’analisi di raggi X emessi dai campioni in studio dopo essere stati esposti al fascio di ioni accelerati: i fasci di ioni prodotti dall’acceleratore vengono direzionati sulla porzione dell’opera da analizzare e le particelle accelerate attraversano il materiale e gli cedono la loro energia, eccitando i suoi atomi. Diseccitandosi, questi atomi emettono dei raggi X caratteristici, così detti in quanto esiste una corrispondenza ben precisa tra la lunghezza d’onda dei raggi X emessi in questa modalità e l’elemento a cui appartengono gli atomi. In questo modo, quindi, rivelando le proprietà dei raggi X emessi da una determinata area di un oggetto, è possibile ricostruire la composizione chimica dei materiali che sono stati utilizzati nella creazione dell’opera d’arte, come, ad esempio, quella dei colori che sono stati utilizzati dal pittore in una precisa porzione di un dipinto.

Combinando la PIXE con i quadrupoli a radiofrequenza (RFQ) del CERN, già utilizzati in biomedica, è stato quindi possibile sviluppare uno strumento di alta precisione, molto compatto (lungo solo 1 metro) e con un consumo di potenza ridotto. Dopo più di un anno di studi, lo scorso dicembre al CERN i primi pezzi di questo acceleratore in miniatura sono stati assemblati con successo. Prima che possa entrare in funzione sono necessari ancora alcuni mesi di lavoro, ma i primi test del fascio sono già previsti per la fine del 2019, mentre l’appuntamento per la prima analisi su una vera e propria opera d’arte è stato fissato nel 2020 all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.



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