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Cortocircuiti Sovranisti

Da un anno a questa parte, il termine “sovranismo” ha conquistato una posizione di rilievo all’interno del dibattito politico nazionale, del gergo mediatico, nonché nelle discussioni quotidiane. L’attuale esecutivo viene infatti spesso etichettato, ora a mo’ d’elogio, ora di biasimo, come “sovranista”. Al di là della sfumatura che si voglia dare al termine, che, per l’appunto, difetta di una definizione chiara, risulta difficile negare come nelle ultime settimane, il governo italiano abbia assunto, nel contesto di una serie di avvenimenti e decisioni sul piano internazionale, un atteggiamento bifronte, incoerente. La strategia “sovranista”, al di là dei giudizi di valore che le si voglia attribuire, finisce per ritorcersi su se stessa in goffi cortocircuiti: non sembra, in altre parole, poter fornire un paradigma coerente per le relazioni internazionali del nostro paese, un posto all’Italia nel mondo.

Ma che cos’è il sovranismo? A prima vista, la radice del termine parrebbe enfatizzare semplicemente la precondizione per cui uno stato possa considerarsi tale, ovvero la sovranità sul suo territorio. In senso stretto, questo si ridurrebbe alla mera capacità dell’amministrazione statuale di esercitare, legittimamente, il monopolio del ricorso alla violenza (Weber, 1918). In altre parole, uno stato è tale finché è il solo ente legittimato all’utilizzo della coercizione sul suo territorio, sia rispetto all’esterno, controllandone e difendendone i confini, sia al suo interno, assicurando l’effettiva implementazione delle sue norme ed il loro rispetto.

Tuttavia, limitandosi a questa interpretazione del termine, si dovrebbe concludere che tutti i principali partiti nello spettro politico italiano siano, in larga misura, sovranisti: nessuno, infatti, parrebbe proporre l’eliminazione dell’ordinamento statale in quanto tale. Ne consegue che il significato di sovranismo nel dibattito corrente non possa ridursi ad un mero, e positivo, ribadimento della sovranità statale sul proprio territorio.

Di contro, il sovranismo deriva il suo carattere distintivo da una carica negativa, risultante dal contrasto, talvolta, anche solo verbalmente, violento, con l’esterno, piuttosto che dalla preservazione, positiva, delle funzioni di base a cui lo stato è preposto. Si può dunque definire “sovranista” una forza politica che avanzi una riappropriazione, reale od anche solo simbolica, di un qualche potere da parte dello stato, in opposizione alle forze della globalizzazione e del pluralismo internazionale.

Tale fenomeno, non circoscritto solamente al nostro paese, può essere inteso come una reazione alla globalizzazione ed alle tensioni da essa generate. In questa luce è possibile infatti interpretare, ad esempio, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea: la campagna elettorale attorno al referendum del giugno 2016 si è in gran parte giocata sull’aspettativa di riportare il controllo delle frontiere tra le competenze esclusive dello stato britannico. Peccato che, non facendo il Regno Unito parte dell’accordo di Schengen, questa già fosse la situazione ben prima del voto sulla Brexit. Questo esemplifica quanto il piano su cui il sovranismo si dispiega sia più retorico che non fattuale, dove la coerenza della strategia nel suo complesso non sembra essere particolarmente rilevante.

Per quanto concerne la situazione italiana, sono almeno tre gli episodi recenti in cui è possibile notare una qualche incoerenza nella strategia intrapresa: l’approccio dello stato italiano riguardo la riforma del regolamento di Dublino; l’opposizione del governo italiano alla realizzazione del gasdotto EASTMED; il memorandum recentemente firmato tra lo stato italiano e la Repubblica popolare cinese concernente l’adesione dell’Italia al progetto della “nuova via della seta”.

Nel caso della (mancata) riforma del regolamento di Dublino risulta piuttosto semplice sottolineare come la strategia del governo italiano risulti in un circolo vizioso. Infatti, l’obiettivo dichiarato sarebbe l’implementazione di un sistema di cogestione del soccorso in mare e di più equa redistribuzione dei richiedenti asilo tra i vari stati membri dell’Ue. Nonostante ciò, è possibile notare come il governo italiano non abbia partecipato attivamente alle riunioni concernenti la riforma del regolamento e, di contro, abbia intrapreso una strategia di allineamento col gruppo dei paesi di Visegrad[1], notoriamente ostili a qualsiasi politica di redistribuzione dei richiedenti asilo. Ne risulta che l’Italia, adottando una linea sovranista si trovi, paradossalmente, isolata, dovendo far fronte alla questione migratoria con ridotte possibilità di collaborazione da parte di altri paesi europei.

La recente opposizione del governo italiano riguardo l’apertura del nuovo gasdotto EASTMED delinea, similmente, un’altra situazione paradossale. La realizzazione di tale infrastruttura permetterebbe ai paesi europei di approvvigionarsi direttamente dai giacimenti di gas naturali situati tra Cipro ed Israele, nel Mediterraneo orientale. Di conseguenza, il mercato europeo amplierebbe e diversificherebbe in modo sostanzioso l’offerta di gas disponibile, una situazione che un governo sovranista, trovandosi in una posizione di maggiore prominenza rispetto ai paesi produttori di gas, dovrebbe, a rigor di logica, trovare preferibile. L’opposizione del governo italiano alla realizzazione di questo progetto risulta dunque inspiegabile, a meno che non si rammenti come, attualmente, il principale fornitore di gas nel mercato europeo sia la Russia. La retorica sovranista sembra dunque risparmiare ancora una volta gli alleati politici di partito.

Sulla stessa linea, risulta difficile comprendere come un esecutivo che si definisce sovranista si trovi a firmare un accordo con una potenza commerciale quale la Cina. Se, da un lato, l’accordo garantirebbe all’Italia di ricevere ingenti finanziamenti riguardanti principalmente infrastrutture strategiche quali porti e ferrovie, dall’altro, aumenterebbe le partecipazioni cinesi nelle finanze italiane, sia pubbliche che private: una posizione alquanto insolita per un esecutivo che difficilmente omette di dipingere le obbligazioni dello stato italiano nei confronti delle norme europee come vincoli insensati, se non addirittura disegnati all’apposito scopo di soggiogare l’economia italiana.

Che senso abbia tutto questo? Le posizioni prese dall’esecutivo italiano nell’ultimo anno, seppur inconsistenti rispetto al concetto di sovranismo in senso stretto, presentano una costante: uno spiccato antieuropeismo. All’arena istituzionale e multilaterale europea si preferisce puntualmente il rassicurante ed ordinato bilateralismo delle relazioni potenza-satellite, in cui, inevitabilmente, il nostro piccolo paese non può che precipitare nell’orbita di attori di massa maggiore. Questo perché il sovranismo, e più in generale qualunque movimento nazionalista, non può fornire un paradigma efficace in un’arena dialogica e multilaterale quale l’Unione europea. Ne risulta un paradossale e pericoloso cortocircuito: all’insegna della sovranità nazionale, l’Italia rischia di ritrovarsi allo stesso tempo isolata nell’ambiente dove avrebbe un considerevole potere decisionale – l’Ue – e dipendente dagli interessi di potenze esterne, su cui non può esercitare nessun controllo.

[1] Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia


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