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Notre-Dame, culla della polifonia


Voglio dedicare questo articolo a tutti i francesi sconvolti per l’incendio che ha devastato la cattedrale di Notre-Dame, perché insieme con il popolo francese piangono tutti gli autentici figli d’Europa, nell’aver visto in fiamme proprio la chiesa che è forse il simbolo più celebre della nostra identità religiosa, artistica e culturale.

Simbolo di quel Medioevo il cui termine è tanto abusato al giorno d’oggi, il cui aggettivo è utilizzato come scherno e come insulto.

Medioevo in cui affondano le radici di tutta la civiltà occidentale e di tutte le arti e le scienze, compresa, ovviamente, la musica.

Parlerò dunque della nascita della polifonia, avvenuta fra secolo XII e XIV proprio dentro le mura della cattedrale di Notre-Dame, avvenimento che ha segnato un importante passaggio nella storia della musica; avvenimento a cui è dovuto lo sviluppo della tecnica compositiva che ha reso la musica occidentale, per usare le parole di Papa Benedetto XVI, “qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture.”

Il canto gregoriano, secondo la grande tradizione iniziata secoli prima, era un canto monodico; prevedeva cioè di essere cantato dalla schola cantorum all’unisono, a una sola voce. La polifonia, viceversa, consiste nell’arte di sovrapporre contemporaneamente diverse voci indipendenti in modo da ottenere un insieme armonico.

Sino al X secolo, tutta la musica scritta in Europa (sacra e profana) era limitata sostanzialmente alla sola monodia, ma i più antichi esempi di una polifonia primitiva sono attestati già nel Musica Enchiriadis (databile circa al 900), un trattato anonimo che mostra come venivano improvvisati i primi tentativi di polifonia, chiamati organa (sing. “organum”).

Nei primitivi esempi di organa, due voci eseguivano la stessa melodia a due altezze differenti, separate in genere da un intervallo di quarta o di quinta: questa pratica, detta diafonia, ebbe origine dall’esigenza di combinare voci di registro diverso (per esempio bassi e tenori), che avrebbero trovato difficoltà a cantare la stessa melodia all’unisono o all’ottava, poiché una delle due voci si sarebbe rivelata troppo acuta o troppo grave. Ne risultavano dunque due linee melodiche parallele che procedevano per grado congiunto. In seguito, si cominciò a sperimentare il moto contrario, secondo cui le voci procedevano in direzioni opposte, ora allontanandosi ora avvicinandosi, in modo da creare una più ampia varietà sonora, secondo una tecnica chiamata discanto.

Tramite l’evoluzione di questa tecnica, le parti incominciarono a differenziarsi sempre di più fino a divenire melodicamente indipendenti, pur mantenendo pressappoco lo stesso modello ritmico.

Fu proprio la nascita di una nuova notazione musicale che tenesse in maggior considerazione l’aspetto ritmico ciò che permise lo sviluppo della polifonia propriamente detta. Tale notazione, chiamata notazione modale, prendeva ispirazione dalla metrica classica, e si basava quindi sulla durata delle sillabe delle parole messe in musica.

I precedenti sistemi di notazione gregoriani non avevano bisogno di precisare con cura la durata delle note, perché essendo il gregoriano cantato ad una sola voce, spettava al maestro di cappella il compito di dare le giuste durate e di dirigere il coro. La polifonia, viceversa, richiedeva un lavoro cerebrale di pianificazione su carta e uno sforzo immaginativo possibile soltanto se si hanno ben chiari la durata delle note, quando una voce deve cantare e un’altra no, in che modo devono incastrarsi le diverse linee, e così via. La tecnica di unire più voci in polifonia viene chiamata contrappunto (da “punto contro punto”, cioè “nota contro nota”).

Tale espediente musicale, che permise all’uomo di creare strutture musicali sempre più complesse fino ad arrivare alle 36 voci del canone “Deo gratias” del fiammingo Johannes Ockeghem (1410-1497) o alle 40 voci del mottetto “Spem in alium” di Thomas Tallis (1505-1585) è paragonabile all’espediente che permise lo sviluppo dell’architettura gotica: così come l’arco a ogive, nato dal miglioramento della tecnica romanica di scaricare il peso murario su pilastri e contrafforti, permetteva maggior dinamismo nel gioco di spinte e controspinte e maggior elevazione verso l’alto, allo stesso modo la scrittura attraverso la notazione modale permise lo sviluppo delle voci in maniera verticale.

La polifonia permetteva dunque di utilizzare melodie gregoriane come base e fondamenta su cui costruire un libero edificio sonoro.

Questa fondamentale innovazione è dovuta al gruppo di musicisti che passa oggi con il nome di Scuola di Notre-Dame, che gravitava intorno alla cattedrale e a quel gruppo di professori e studenti che nel 1215 verrà riconosciuto come Università di Parigi.

Il primo nome tramandatoci, che è anche il primo nome noto di un compositore nella storia, è quello di Magister Leoninus (seconda metà del secolo XII), che iniziò a stilare un tomo intitolato “Magnus liber organi”, contenente organa raccolti o composti da lui a 2 voci. In seguito, la compilazione e redazione del Liber venne affidata a Magister Perotinus (1160-1230), che iniziò a impiegare anche 3 e 4 voci nelle sue composizioni, fra le quali ricordo “Viderunt omnes” e “Sederunt principes”.

E’ a Leonino, Perotino e tutti i contemporanei di allora che dobbiamo la nascita della polifonia.

E’ a Notre-Dame che dobbiamo l’inizio della musica per come la conosciamo oggi.


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