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La mancata "rivoluzione sovranista" e i suoi pericoli


La mancata svolta sovranista alle elezioni europee – a più riprese auspicata da esponenti del governo italiano, ed in modo particolare della Lega – non si è verificata. Di più, la composizione del nuovo Parlamento europeo appare persino più progressista rispetto al precedente. Di conseguenza, la rinnovata Commissione europea – la cui formazione rispecchia i consensi ottenuti dalle forze politiche in parlamento – non sarà, con ogni probabilità, più accondiscendente rispetto all’attuale nell’assecondare lo sforamento dei parametri di debito da parte dell’esecutivo giallo-verde. Questo costringerà il governo ad una politica fiscale più moderata: alcune riforme (reddito di cittadinanza, flat tax, quota 100…) dovranno essere accantonate. Facile dunque che la coalizione Lega-M5S si sfaldi prima dell’autunno, quando una nuova finanziaria dovrà essere approvata. Tuttavia, qualora – come sembra – la Lega dovesse risultare vincente da ipotetiche elezioni anticipate e, qualora – come sembra – dovesse mantenere una strategia di confronto ostile nel rapporto con la Commissione, le conseguenze per l’intero paese potrebbero essere più incerte – e meno rassicuranti – di quanto si possa pensare.

Durante i passati mesi di campagna elettorale, gli esponenti del governo italiano – ed in primis il ministro Matteo Salvini – hanno a più riprese delineato scenari post-elettorali in cui la composizione del Parlamento europeo sarebbe dovuta risultare radicalmente diversa. “Cambiamo l’Europa” è un obiettivo che, per l’appunto, presuppone il raggiungimento – perlomeno, dal momento che le elezioni non influenzano la composizione del Consiglio UE – di una solida maggioranza parlamentare. Così non è stato: l’attuale Parlamento appare addirittura più progressivo che 5 anni fa. Se è vero infatti che il Partito Popolare europeo (PPE) e i Socialisti e Democratici (S&D) – sostanzialmente i tradizionali partiti di centro destra e centro sinistra – hanno visto ridursi il loro consenso (avendo perso, rispettivamente, 38 e 35 eurodeputati), la redistribuzione dei voti è andata a favore dei Liberali (ALDE) e dei Verdi (Greens, che ne hanno invece guadagnati 39 e 18). I gruppi in cui siedono partiti sovranisti – Conservatori riformisti (ECR), per quanto concerne Fratelli d’Italia – e il movimento dell’Europa delle nazioni e della libertà (ENF) – dove siede la Lega – non hanno visto un sostanziale aumento del loro consenso, avendo i primi perso 17 deputati e i secondi guadagnati 21. Il gruppo parlamentare in cui siedono invece i 5 Stelle (EFDD) ha visto aumentare il numero di parlamentari di 14 unità.

La composizione della nuova Commissione europea non sarà – come sperato dai membri della coalizione di governo – influenzata dal peso politico di questi gruppi. Socialisti, popolari, liberali e verdi hanno guadagnato infatti un numero di molto maggiore di deputati. Ne risulta che la nuova Commissione non sarà più recettiva di quella attuale rispetto le richieste del governo italiano. I membri del governo auspicavano di contro un tale cambiamento poiché una Commissione più accondiscendente nei confronti delle violazioni dei parametri sul debito pubblico commesse dall’esecutivo italiano avrebbe permesso alla coalizione giallo-verde di avanzare la propria linea programmatica più agilmente, viste le ridotte pressioni esterne.

La realizzazione di questo scenario avverso – la mancata “svolta” sovranista-populista – avrà con ogni probabilità gravi implicazioni per il governo italiano. Le pressioni sul contenimento del deficit e del debito pubblico si tradurranno in vincoli più stringenti sulle politiche espansive possibilmente implementabili, mettendo a rischio l’esistenza stessa della coalizione di governo. Risulta infatti difficile immaginare come l’attuale esecutivo possa varare una nuova legge di bilancio. Rispettare i parametri sul debito richiederà per l’appunto l’esclusione di alcune delle misure care a Lega e M5S: flat tax, reddito di cittadinanza e quota 100 non possono essere implementate simultaneamente. Eccezion fatta per un ipotetico scenario in cui i membri della coalizione riescano a trovare un accordo basato su vicendevoli rinunce e concessioni, la situazione più probabile è rappresentata da elezioni anticipate all’inizio dell’autunno, prima della stesura della nuova finanziaria.

Dati i recenti sviluppi, il risultato più probabile sarebbe una Lega vincente – con il supporto di una coalizione di centro destra – a seguito di elezioni anticipate. Un simile scenario potrebbe rivelarsi nocivo per il paese tutto, qualora la Lega intraprendesse – o meglio, mantenesse – una strategia di ostilità nei confronti della Commissione. Dovesse il futuro governo italiano astenersi dall’introduzione di misure volte alla riduzione del debito e dovesse la situazione del paese non risollevarsi miracolosamente da sé, si delineerebbe infatti uno scenario inquietante. Qualora lo stato si “trovasse” in una situazione di potenziale ed imminente bancarotta, l’uscita dalla moneta unica potrebbe apparire come una “ultima istanza” conveniente e quasi necessaria. Infatti, assicurare un bilancio estremamente gravoso come quello italiano (che ammonta al 132% del PIL) potrebbe non essere né credibile né possibile, date le limitate capacità dell’Unione e dei suoi paesi membri. In questa luce, la recente approvazione dei “mini-bot”, che sembra voler essere un preludio alla creazione di una “moneta parallela” in preparazione ad una potenziale uscita dall’Euro del paese. Bisogna insomma restare in guardia, poiché, paradossalmente, proprio perché la grande ondata sovranista non ha avuto luogo, il nostro paese potrebbe essere portato “fuori rotta” quasi per accidente. Una strategia simile a quella che usano gli hard-brexiteers per arrivare ad un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea senza accordo alcuno, pur di evitare la meno gradita uscita restando all’interno dell’Unione doganale.

La recente approvazione dello strumento dei “mini-bot” lascia presagire che la Lega non abbandonerà, con ogni probabilità, la sua attuale attitudine di negoziazione ostile nei confronti della Commissione europea. Qualora contromisure volte alla riduzione del debito pubblico non dovessero essere intraprese e le condizioni economiche del paese non dovessero migliorare, questo potrebbe avvicinare – quasi per accidente – l’Italia ad un’uscita dall’Eurozona e dall’Unione europea. Paradossalmente, il fatto che il Parlamento europeo appaia – a seguito delle ultime elezioni – più progressista del precedente potrebbe ineluttabilmente isolare ed allontanare l’Italia dagli altri stati membri.


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