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“Spem in alium” di Thomas Tallis: storia di un capolavoro


Il nome di Thomas Tallis (1505-1585) domina indiscusso sopra quelli di molti compositori del periodo rinascimentale di cui abbiamo memoria. Ancora oggi la sua musica è apprezzata ed eseguita in tutto il mondo, ed è quasi l’emblema di una scrittura angelica, celestiale, fatta di imponenti architetture e di una ricca polifonia le cui foglie si colorano in estri sonori e si arricciano in capitelli corinzi.

La sua composizione più celebre è probabilmente Spem in alium, monumentale mottetto scritto intorno al 1570 per ben 40 voci reali divise in 8 gruppi di 5 voci ciascuno, secondo la configurazione corale tipica della musica inglese (soprano, contralto, tenore, baritono, basso).

Ma qual è la storia di questo brano?

Ai tempi della Regina Elisabetta era giunto in Inghilterra un brano italiano in 30 parti che si diceva creasse un’armonia paradisiaca. Un Duca -di cui ignoriamo il nome- si era appassionato a questa musica, e si domandò se qualcuno fra gli inglesi fosse in grado di scrivere un pezzo altrettanto bello. Tallis fu ritenuto in grado di realizzare questo compito: ne compose uno in 40 parti che venne eseguito nella grande galleria di Arundel House. Il pezzo superò di gran lungo quello precedente, al punto che il Duca, ascoltandolo, si tolse la propria catena d’oro e la pose al collo di Tallis, donandola a lui.

Il mottetto venne anche eseguito, con un testo diverso e profano, in occasione dell’investitura a Principe di Galles di Enrico Stuart nel 1610, con il titolo Sing and glorify, il cui manoscritto è l'unico pervenutoci a riportare questo brano, accompagnato dal testo originale in latino.

Rimane da scoprire quale fu il pezzo che ispirò Tallis nella stesura della sua composizione.

Gli studiosi concordano nel ritenere che tale brano fosse Ecce beatam lucem di Alessandro Striggio padre (1540-1592), mottetto anch’esso per 40 voci (dunque il fatto che le fonti riportino “30 voci” probabilmente è un errore) ordinate però in 10 cori da 4 voci ciascuno, secondo l’uso italiano. Nell’opera, seguendo la scuola veneziana, Striggio fa un largo uso di omofonia e raddoppi. D’altronde è logico pensare che musica con un organico di queste dimensioni venisse eseguita in ambienti enormi e cattedrali in cui l’acustica permetteva diversi secondi di riverbero nell’aria. Di conseguenza l’ambiente richiedeva brani le cui armonie non cambiassero velocemente e in maniera brusca, altrimenti si sarebbe generata una cacofonia. Si puntava allora sull’effetto estatico che tali armonie -che si muovevano lentamente come il respiro di una foresta- poteva avere sull’uditorio.

Striggio visitò Londra nel 1567, dunque negli anni immediatamente precedenti al mottetto di Tallis, che si trovò ispirato o addirittura sfidato da quello di Striggio.

Spem in alium, a differenza di Ecce beatam lucem, fa largo uso dell’imitazione. Infatti il tema attraversa, nelle prime 39 battute, tutte le 40 voci, fino allo stupefacente “tutti” di battuta 40. La ricorrenza del numero 40 non è casuale: tutta la musica antica era immersa in un clima di citazioni e simbologie numeriche, specialmente quella sacra. Basti pensare a quanto si sia mosso in questa direzione J.S. Bach.

E’ inoltre interessante notare come la partitura sia composta da 69 brevi; nell’alfabeto latino la somma dei numeri a cui corrispondono le lettere “TALLIS” fa proprio 69.

Il mottetto deve la sua efficacia anche ai giochi sonori che la disposizione spaziale degli otto cori permette: se disposti in cerchio secondo l’indicazione della partitura, il suono verrà propagato in senso orario fino a metà del brano, dopo la quale tornerà indietro in senso anti-orario. Tallis usa anche l’antifonia: i cori talvolta cantano contrapposti l’uno di fronte all’altro, con movimento sia est-ovest sia nord-sud.

Opera senza tempo, Spem in alium ha ispirato molti compositori contemporanei specialmente per la sua atmosfera sonora: si pensi a Ligeti con il suo Lux aeterna, o a tante composizioni di Arvo Pärt o Krzysztof Penderecki.


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