top of page

Taglio dei parlamentari: una riforma sciatta


Lo scorso 8 ottobre, è stata definitivamente approvata alla Camera la riforma costituzionale sulla riduzione di un terzo del numero dei parlamentari (ddl costituzionale n. 214-515-805-B). La proposta è stata approvata da un’ampia maggioranza (553 voti favorevoli contro 14 contrari; 2 gli astenuti). Sostanzialmente, tutti gli schieramenti parlamentari – all’eccezione di +Europa – si sono espressi favorevolmente all’adozione della misura.

Tuttavia, l’armonia della consultazione alla Camera non sembra estendersi all’opinione pubblica. Le posizioni, sia tra i favorevoli che tra i contrari, sono numerose e discordi: da un lato, la riforma è stata presentata come un avanzamento nella direzione di un apparato legislativo più efficiente (termine che in questo contesto sembra aver assunto il solo significato di “più veloce”), nonché di una riduzione dei costi della politica; dall’altro, in molti hanno espresso timore verso i potenziali effetti controversi che il taglio dei parlamentari potrebbe avere sulla rappresentatività del parlamento stesso, nonché nei confronti del generale clima di “anti-parlamentarismo” in cui la misura sarebbe inscritta.

La realtà è che – seppur ben spendibile nel dibattito politico-elettorale – l’approvazione della riforma non rappresenterà, con ogni probabilità, un avanzamento rilevante per il nostro paese, ma neppure un pericolo per il nostro sistema democratico-rappresentativo (verrebbe anzi da chiedersi se mai l’intero arco parlamentare raggiungerebbe una posizione di consenso attorno ad una misura realmente in grado di riequilibrare l’assetto politico-istituzionale del paese): la riduzione dei costi sarà irrisoria; mentre la formazione di un parlamento più o meno efficiente o rappresentativo dipende in prima istanza dalla formula elettorale, e solo marginalmente dal numero di seggi.

Andando ad analizzare più nel dettaglio il punto più comunemente affrontato – ovvero la riduzione dei costi della politica per i cittadini – ci si può accorgere piuttosto rapidamente di come si tratti di un mero slogan elettorale. La proiezione sul risparmio per i contribuenti è infatti minima ed attestata attorno ai 50 milioni di euro annui, ovvero meno di un euro per cittadino. Di più, tale risparmio risulterà da una semplice riduzione della spesa totale e non da un efficientamento dei costi: in altre parole, non vi sarà necessariamente una riduzione degli sprechi, ma più semplicemente meno persone in grado di sprecare.

Allo stesso modo, risulta difficile immaginare come i lavori parlamentari possano divenire più agili a conseguenza della riforma. Tale parametro dipende infatti dalle norme che regolano l’iter legislativo e dalla solidità delle maggioranze nelle camere, piuttosto che dal numero di parlamentari interessati. Non è dunque difficile comprendere come entrambe queste dimensioni esulino dallo scopo della riduzione dei parlamentari: nel primo caso, si renderebbe necessaria una riforma costituzionale specifica; nel secondo, l’implementazione di una riforma elettorale che faciliti la formazione di maggioranze parlamentari solide e compatte, al di là del mero numero di individui che andrebbero a comporle. E’ per l’appunto solo attraverso quest’ultimo canale – ovvero un’influenza indiretta sul sistema elettorale – che la riforma potrebbe sortire un qualche effetto sulla celerità del sistema legislativo.

Arriviamo dunque al punto più interessante nella discussione attorno al taglio dei parlamentari, ovvero la valutazione degli effetti di tale misura sul sistema elettorale, effetti potenzialmente positivi – un parlamento più snello – e negativi – un parlamento meno rappresentativo dei cittadini. Ipotizzando un semplice – ma necessario – aggiustamento dell’attuale legge elettorale (Legge 3 novembre 2017, n. 165), che prevede la ripartizione dei seggi secondo un sistema misto – 1/3 eletto in collegi uninominali maggioritari e 2/3 con sistema proporzionale – si renderebbe necessario ridisegnare la mappa dei collegi uninominali. Il numero di collegi deve infatti essere pari al numero di parlamentari che eleggono: 100 seggi da eleggere, 100 collegi uninominali per eleggerli. Ne consegue che riducendo i parlamentari anche il numero di collegi dovrà, in egual misura, diminuire. Essendo improbabile che la superficie dello stato italiano verrebbe anch’essa ristretta in egual misura, questi nuovi collegi saranno necessariamente più grandi degli attuali. E qui giace il pericolo per la rappresentatività del sistema elettorale: immaginiamo che, prima della riforma, vi siano due collegi uninominali vicini, il primo con 100 elettori, il secondo con 50. Nel primo collegio il Partito dei Gabbiani elegge il suo deputato con 80 voti; nel secondo il Movimento delle Rane elegge il proprio con 40. Nel primo collegio vi saranno 20 elettori insoddisfatti – ma comunque rispettosi – dell’esito, mentre saranno 10 nel secondo, per un totale di 30 delusi. Questo sistema elettorale guadagna quindi un punteggio negativo di 30.

Ora immaginiamo che, a seguito del taglio dei parlamentari, sia possibile eleggere un solo deputato e che quindi i due collegi vengano accorpati: assumendo che le preferenze elettorali non siano cambiate, solo il Partito dei Gabbiani continuerebbe ad eleggere il proprio deputato – ora con 90 voti. La regola della maggioranza resterebbe rispettata, ma il numero di elettori scontenti del risultato diverrebbe pari a 60, il doppio rispetto al sistema pre-riforma. Un simile scenario risulterebbe ovviamente nocivo, valutato nell’ottica della rappresentatività (che non è l’unica).

Tuttavia, due contro-argomenti possono essere addotti in contrasto con l’obiezione della ridotta rappresentatività. In primo luogo, la realizzazione dello scenario sopra delineato dipende largamente dal come i collegi elettorali verrebbero ridisegnati: grazie ad un lavoro più scrupoloso, i collegi potrebbero essere accorpati di modo da mantenere una certa omogeneità nelle preferenze degli elettori che vi risiedono, potenzialmente addirittura incrementando la rappresentatività (ovvero riducendo il numero di cittadini insoddisfatti). In secondo luogo, la maggioranza PD-5 Stelle sembra propendere per l’adozione di un sistema proporzionale (quasi) puro, ovvero senza collegi uninominali. Calcolando la percentuale di seggi parlamentari assegnati ai partiti in virtù dei voti ottenuti su base nazionale (o regionale, per il Senato), le distorsioni prodotte dalla riduzione di 1/3 nel numero di seggi eleggibili sarebbero minime se non nulle: il numero di parlamentari eletti da ogni partito diminuirebbe, mentre la percentuale tra gli eletti resterebbe con ogni probabilità invariata.

In sintesi, la riforma del taglio dei parlamentari sortirà effetti marginali se non irrilevanti, positivi o negativi che li si voglia concepire: la riduzione dei costi sarà minima, e nulla se intesa pro capite; i tempi di approvazione delle leggi non si accorceranno; i rischi per la rappresentatività del parlamento saranno minimi, e dipenderanno in primo luogo dalla nuova legge elettorale dovrà essere introdotta e solo marginalmente e potenzialmente dal minor numero di parlamentari eleggibili.

In foto: Banksy, Devolved Parliament, 2009


bottom of page