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"Der Klang der Offenbarung des Göttlichen": guida all'ascolto



Chiunque abbia interesse per il rock sperimentale si sarà imbattuto, almeno una volta nella vita, nel gruppo islandese Sigur Rós, celebre per lo stile etereo che unisce elementi estetici tipici della musica classica con quella minimalista, secondo sonorità e strumenti musicali caratteristici del rock progressivo e della musica ambientale, tra cui la chitarra suonata con l’archetto del violoncello.


Membro fondamentale dello storico gruppo è stato, dal 1999 al 2013, il polistrumentista Kjartan Sveinsson, l’unico componente dei Sigur Rós ad aver studiato musica; per tale motivo ne curava gli arrangiamenti. Nel gruppo ha espresso il suo talento principalmente suonando il pianoforte e le tastiere, ma anche tramite l’utilizzo della voce o di altri strumenti, come chitarra, flauto, oboe e banjo.

Una volta separatosi dai Sigur Rós ha continuato autonomamente la sua carriera, dedicandosi anche alla composizione.


Oggi vi parlerò del suo primo grande lavoro orchestrale, con il quale ha debuttato nel 2014 in Germania: Der Klang der Offenbarung des Göttlichen, il cui titolo può essere tradotto con: “Il suono della rivelazione del divino”.

Nonostante esso venga definito dal compositore come un’opera in quattro atti, Der Klang ha più le caratteristiche di una suite: infatti sebbene siano previste delle voci soliste e un coro, questi non sono presenti in scena e la composizione non segue un libretto né rappresenta teatralmente una storia. Ispirato alle atmosfere del romanzo Heimsljós (“La luce del mondo”) dello scrittore premio Nobel Halldór Laxness, che narra le peripezie di un giovane poeta incompreso, il lavoro è diviso in quattro sezioni (denominate “Teil”) di carattere differente ma accomunate da un andamento lento e meditativo della musica.

Il lavoro, dalla durata complessiva di circa trentacinque minuti, è pensato per essere eseguito in teatro, e mentre tutti gli strumentisti e i cantanti sono collocati nella buca dell’orchestra, sul palco dominano le scenografie romantiche di Ragnar Kjartansson, che ha plasmato uno scenario diverso per ogni atto. Lo scopo è quello di far provare allo spettatore sensazioni simili a quelle che potrebbero essere vissute d’innanzi a un freddo paesaggio islandese, la cui deserta e solenne maestosità è tramite fra l’uomo e Dio.


Il Teil I, interamente strumentale, incomincia con un languido e sommesso tema in modo minore, annunciato prima dai violoncelli e dai contrabbassi, scambiato poi fra le diverse sezioni degli archi che lo suonano all’unisono. Occasionalmente sono presenti colpi di timpani e di gong. Man mano che il tema viene ripetuto esso aumenta di volume, fino a divenire struggente e doloroso cantato da tutta l’orchestra. Gli ultimi due minuti sono come un grido: i violini primi insistono mantenendo con una forte dinamica una sola nota acuta, mentre gli altri archi, sempre nel registro acuto, proclamano un’ultima volta il tema prima dell’improvviso cessare di ogni suono.


Il Teil II vede, dopo un incipit a cappella a cui rispondono brevemente gli archi, un dialogo fra il coro e le voci soliste, che si ritrovano poi unite insieme all’orchestra. Il tono è intimo e lirico: la scrittura del coro ricorda quella dei corali tedeschi, alternata a momenti in cui è più visibile l’influenza della musica rinascimentale e di quella contemporanea: notevole è la somiglianza con il minimalismo sacro di Arvo Pärt.


L’incipit di Teil III presenta somiglianze con quello di Teil I: il tema presenta lo stesso ritmo iniziale e viene ripetuto dagli archi, ma questa volta, a differenza del cupo tema del primo atto, il nuovo tema rende l’atmosfera più speranzosa. Inoltre, anziché essere interamente strumentale come Teil I, quest’atto vede l’ingresso del coro dopo due minuti di introduzione. Le voci spingono quindi il tema principale in nuove direzioni melodiche e armoniche, impedendo a Teil III di essere una fotocopia del primo movimento. Il volume crescente e la direzione melodica del coro conferiscono al movimento i momenti più luminosi dell'intera opera, prima che Sveinsson li spinga nuovamente indietro in uno stato più sommesso e intimo.


Teil IV è il movimento che dura di più. Inizia con una lunga nota dei contrabbassi, sulla quale si costruisce un accordo suonato dagli archi, nel quale infine si inserisce la voce femminile solista, che inizia a dialogare con i violini. La presenza della voce acuta ricorda direttamente le canzoni dei Sigur Rós, che vedono spesso l’utilizzo del falsetto da parte di Jón Þór "Jónsi" Birgisson, cantante della band. Dopo essere stato annunciato dalla voce, il tema viene poi cantato da tutto il coro. L’atmosfera è calda e accogliente, e l’effetto inconscio è quello di un sole che sorge sul paesaggio desolato descritto dai primi tre movimenti, donando finalmente un po’ del suo calore.


Non resta che godere di questi suoni, nell’attesa che Kjartan Sveinsson ci doni un altro suo capolavoro.



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