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Italia: un paese per vecchi (cattivi)?


George Grosz,

I Pilastri della Società



L’educazione non è sexy

“…i giovani non sono più classificati dalle generazioni più vecchie come 'adulti in miniatura', […] ma li si vedono come persone diverse, destinate a rimanere diverse 'da noi' per tutta la loro esistenza. Le differenze fra 'noi' (i vecchi) e 'loro' (i giovani) non sono più percepite come fattori irritanti ma pur sempre temporanei…”.

Zygmunt Bauman,

Genitori e figli, allora e oggi.

Un paradigma in cambiamento


Le parole di Zygmunt Bauman, tra i più eminenti sociologi e filosofi del nostro tempo, possono essere prestate con sorprendente ed inquietante facilità ad una lettura dell’attuale panorama politico ed istituzionale italiano. Infatti, dando una rapida occhiata alla composizione della spesa pubblica si delinea uno scenario desolante: dovrebbe quantomeno provocare momentaneo sgomento – perlomeno agli occhi di uno studente, quale chi scrive – scoprire che lo Stato italiano spende all’incirca il 16% del proprio budget annuale in pensioni, a fronte di un 3,5% in educazione. Quasi il quintuplo.


Sorprendente fino a che non si osserva quali siano le preferenze degli Italiani: il grafico riportato di seguito compara il numero di ricerche effettuate su Google da utenti italiani riguardo rispettivamente ai termini “Riforma delle pensioni Fornero” e “istruzione pubblica”, tra novembre 2017 e ottobre 2018.


Per quanto questo costituisca un indice estremamente imperfetto di quale sia il reale interesse dell’elettorato rispetto ai due argomenti citati, non è possibile negare come tematiche quali la (contro)riforma del sistema pensionistico, l’introduzione di sussidi al reddito o l’implementazione di norme più restrittive in materia d’immigrazione abbiano goduto uno spazio di rilievo sia durante la campagna elettorale, sia nella retorica imbracciata dall’attuale esecutivo: nessuno sembra preoccuparsi troppo del sistema educativo italiano. E la cosa ci costerà cara.


La spesa pubblica a confronto: Italia, Francia e Spagna

Se compariamo l’ammontare della spesa pubblica in istruzione (come percentuale del prodotto interno lordo) di tre paesi non estremamente dissimili – Francia, Italia e Spagna – si può notare facilmente come il Belpaese sia quello dei tre a spendere di meno.


Se in Italia, tra il 2008 e il 2013, è stato dedicato all’istruzione pubblica un ammontare oscillante attorno al 3,5% del PIL, la Francia ha speso, nello stesso periodo, all’incirca l’1% in più ogni anno (e si badi bene a ricordare che il PIL francese è più alto di quello italiano: in parole povere l’educazione in Francia riceve una fetta più grande di una torta più grande). La Spagna, di contro, non si discosta di molto dalla situazione italiana. Sarà il clima.


La situazione non cambia – sorprendentemente – se invece della spesa pubblica consideriamo quella privata, ovvero l’ammontare delle risorse devolute dalle famiglie all’educazione, sempre riportato in percentuale al PIL.


Questo ci dice che le differenze di spesa tra l’Italia e gli altri paesi presi a campione non solo non vengono ridotte una volta inclusa la spesa privata, ma ne risultano addirittura acuite. In altre parole, della vostra educazione non solo non importa granché al vostro governo, ma neppure a mamma e papà.


Specularmente, si può notare come, questa volta analizzando l’andamento della spesa previdenziale, l’Italia manifesti la più percentuale di risorse pubbliche devolute al mantenimento del proprio sistema pensionistico.


Nello specifico, sempre nell’intervallo di tempo 2008 – 2013, si è speso all’incirca un 2% del PIL in più in pensioni rispetto a quanto non si faccia oltralpe. Sebbene 2% possa suonare come un qualcosa di trascurabile è bene ricordare che tale percentuale equivale all’incirca a 42,6 miliardi di dollari. Son soldi.


Tuttavia, è bene riportare nel quadro d’analisi una prospettiva ulteriore: quella demografica. Se infatti i paesi analizzati risultassero differire sensibilmente per quanto concerne la composizione delle rispettive popolazioni (per esempio se la popolazione francese fosse mediamente più giovane di quella italiana) le differenze nei livelli di spesa potrebbero essere banalmente spiegati in base a tali differenze, piuttosto che a conseguenza di diverse priorità politiche. Osservando i due grafici riportati di seguito, ci si accorge di come questo potrebbe essere il caso.



La popolazione italiana risulta infatti essere “meno giovane” di quella francese. In particolare, i cittadini italiani d’età compresa tra gli 0 e i 19 anni costituiscono all’incirca il 19% della popolazione totale, mentre in Francia rappresentano poco meno del 25%.


Allo stesso modo, la popolazione italiana risulta essere “più vecchia” di quella francese e spagnola. Nello specifico, ad oggi, più del 22% dei cittadini italiani ha un’età superiore ai 65 anni, mentre in Francia e Spagna gli over 65 rappresentano il 19% della popolazione totale.


Di conseguenza, la più alta (bassa) spesa pensionistica (in istruzione) in Italia potrebbe meramente risultare dalla specifica situazione demografica nazionale.


Al fine di delineare più chiaramente se la questione demografica da sola possa spiegare i diversi livelli di spesa, è opportuno analizzare se vi siano delle differenze negli investimenti, sia pubblici che privati, questa volta però rapportandoli al numero di studenti, piuttosto che al PIL. In questo modo, la distorsione risultante dalla diversa ampiezza dei gruppi di riferimento nei vari paesi viene eliminata.

I due grafici riportati di seguito sembrano, per quanto concerne la spesa in educazione, ridimensionare la rilevanza dell’argomento demografico. Infatti, è possibile riconoscere differenze importanti nell’investimento annuo per studente nei tre paesi presi a campione. E’ opportuno sottolineare come i dati riportino valori corretti a parità di potere d’acquisto (PPA), ovvero controllando potenziali distorsioni risultanti dal variare del costo medio della vita nei tre paesi.


Nello specifico, l’Italia manifesta i livelli più bassi di spesa pubblica in istruzione per studente e, osservando il grafico riportato di seguito, la situazione non cambia se si considera la spesa privata.


Un paese di cattivi genitori

In conclusione, è importante ribadire come, qualora la problematica presentata in questo breve articolo venisse trattata alla strenua di un semplice problema aritmetico (in parole molto molto povere, illudersi che spendere 30 in educazione e 70 in pensioni piuttosto che 50 e 50 siano la stessa cosa poiché la spesa totale risulta in entrambi i casi pari a 100), commetteremmo il grave errore di escludere dal discorso una prospettiva di lungo termine, fatto che potrebbe impedire di efficacemente asserire la sostenibilità del sistema.


Infatti, se si osservano i livelli di produttività lavorativa (PIL per ora lavorata) presenti nei paesi in esame, si potranno notare notevoli differenze.


In particolare, in Francia ed in Spagna si manifesta una – seppur leggera – tendenza positiva, in altre parole, i lavoratori francesi e spagnoli stanno diventando progressivamente più produttivi. Diversamente, l’Italia stagna.

Seppur non sia l’unico fattore in gioco, la produttività del lavoro dipende in modo importante dal sistema educativo, sia in termini di risorse che vengono stanziate, sia in termini di struttura, più o meno indirizzata all’effettiva formazione professionale dello studente. Intuitivamente, dalla produttività del lavoro dipende strettamente la sostenibilità di un sistema pensionistico: se i lavoratori sono pochi ed improduttivi ed i pensionati molti non v’è modo che la struttura regga, sarebbe come costruire una piramide a testa in giù. Cade.


Alla luce di quanto detto, lo scenario che si prospetta è, ancora una volta, desolante: un paese che invecchia rapidamente, più occupato nel – vano – tentativo di ritornare ad un benessere facile, ed ormai irrimediabilmente passato, che non nel tentare di garantire un futuro ai suoi giovani (e sì, a conseguenza del sistema contributivo, anche alle proprie pensioni). Un paese di cattivi genitori.




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